La
chiesa di S. Vincenzo Ferreri era annessa all'ex monastero domenicano di clausura, demolito negli anni '60-70 del '900 per far posto alla nuova scuola elementare oggi intitolata a S. Felice da Nicosia. Il monastero era collegato alla chiesa tramite un ballatoio sopraelevato che conduceva le suore direttamente al matroneo.
Furono costruiti a metà '500 per volontà del barone Nicolò Cancellario, padre del futuro arciprete di Nicosia e poi arcivescovo di Messina, mons. Antonino Cancellario. La chiesa fu ristrutturata tra il '600-700 ed affrescata nel 1717 dal pittore firmato ad un bordo della Gloria di S. Vincenzo: "Guglielmo Borremansfiamengo P.A. 1717". Era questi un pittore di origine fiamminga, proveniente dalle Fiandre spagnole. Borremans affrescò, con la tecnica dello sfondato prospettico e con stile, gusto e atmosfere arcadico-rococò, tutta la chiesa a navata unica, con grandi scene composite, tondi, medaglioni, monocromi, figure singole, festoni, cartocci, conchiglie, vasi allegorici, raccordati agli stucchi in gesso realizzati da Procopio Serpotta (Palermo 1679-1755: figlio del più celebre padre Giacomo) e Domenico Castelli (not. dal 1698), tra cui spiccano i putti in gesso bianco e i due grandi angeli ai lati della pala d'altare. Specificatamente, sulla volta rappresentò la Gloria dell'ordine domenicano in tre scene diverse:
- in quella centrale dipinse la Gloria di San Vincenzo Ferreri, racchiusa dentro una marcata cornice mistilinea;
- ai lati, dentro due tondi, dipinse i due santi domenicani più illustri per scienza e santità: San Domenico tra gli evangelisti e San Tommasotra i dottori della chiesa;
- ai fianchi della volta, nei medaglioni delle vele dei fusi sopra la cornice a mensola, raffigurò i Papi dell'ordine domenicano, S. Caterina d’Alessandria, S. Barbara e, a monocromo, quattro Eroine bibliche.
Nella volta del presbiterio dipinse Gli angeli dell'apocalisse che segnano gli eletti col simbolo della tau; ai lati, ancora a monocromo, scene del Diluvio universale con l'Arca di Noè e due figure allegoriche. Lo stesso Borremans dipinse tre pale d'altare: due (a stento leggibili nonostante il recente restauro) per quelli laterali di sinistra: l'Adorazione dei pastori e il Compianto sul Cristo morto; la terza raffigurante la Madonna e i SS.Domenico, Caterina e Rosa per quello centrale, dove è "sostenuto" da due bellissimi angeli ser-pottiani.
La scerna più composita e spettacolare è la Gloria di San Vincenzo Ferreri. In uno "scenografico intreccio di tonache in volo" (Ruta) è fra il tripudio di bellissimi angeli svolazzanti, S.Vincenzo - in tunica bianca e mantello nero dei Domenicani (riconoscibile per la fiaccola sul capo) - viene accolto nella gloria dei cieli dalla Trinità al completo: Dio Padre e Gesù Cristo reggono la corona mentre lo Spirito Santo (in forma di colomba) è librato in un alone luminosissimo (la luce del Paradiso). Gli rendono gloria - dal basso, sotto il coro degli angeli - gruppi di santi illustri e di sante famose e rappresentative dell'ordine (tutti raffigurati con i loro simboli iconografici) e disposti per tagli diagonali: S. Pietro. (con una grossa chiave in mano), S. Paolo (che regge una lunga spada), S. Giovanni Evangelista con l’immancabile Ecce Agnus Dei, Mosé che solleva verso l’alto le "Tavole della legge". Su di loro incombe, suonando energicamente la tromba, uno spettacolare "angelo musicante": l'Angelo del giudizio finale. A sinistra, in abito bianco, esulta il gruppo delle sante domenicane più famose, dominate da S. Caterina da Siena (1347-1380). Le fanno corona S. Rosa da Lima (canonizzata nel 1671, la prima santa d’America: un vanto per l’ordine domenicano femminile!), S. Agnese da Montepulciano (1268-1317) col rosario in mano piuttosto che col giglio.
I due tondi esaltano i due domenicani più illustri e famosi. Nel primo (dalla parte dell'altare, in posizione privilegiata) domina S. Domenico di Guzman (1170 ca - 1221), fondatore (nel 1216) dell'ordine dei Frati predicatori (o Domenicani), rappresentato secondo l'iconografia corrente: abito domenicano, stella in fronte (simbolo di sapienza) e l'immancabile cane con la fiaccola accesa in bocca, che è anche lo "stemma" dei Domenicani (intesi come ‘Domini canes, "cani del Signore"), simbolo ripetuto ad abundantiam in tutta la chiesa. E' attorniato dai quattro Evangelisti con i loro simboli: Matteo con l'angelo, Giovanni con l'aquila, Marco con il leone, Luca con il bue, Giovanni con l’aquila.
Nell'altro tondo (dalla parte del matroneo), S. Tommaso (1225 ca - 1274) - giovane e bello come un lezioso abatino del '700 arcadico e rococò (ben diverso dal “bue muto” della tradizione), in abito domenicano e sole sul petto, simbolo della sacra dottrina - primeggia (lui 'dottore angelico' già in vita) - tra i primi quattro Dottori della chiesa: papa Gregorio Magno con la colomba all’orecchio; S. Agostino e S. Ambrogio, barbuti e in pomposi, sontuosi abiti vescovili; S. Girolamo ignudo con i suoi manoscritti in mano.
Le figure e i monocromi delle vele e dei fusi esaltano l'eroicità e la santità della donna (eroi-bibliche, vergini martiri) nonché la “gloria terrena” dell'ordine, il prestigio e il potere conquistati (papi), rappresentati secondo la successione Papa - Eroina biblica - Vergine martire -Papa. Al centro delle fascia laterale sinistra, in uno dei pennacchi, spicca, infatti, S. Caterina d'Alessandria (S. Caterina delle ruote: qui con corona di principessa qual era e la ruota dentata del suo martirio); di fronte c'era sicuramente dipinta S. Barbara, (sempre in coppia con la santa alessandrina), la cui figura, purtroppo, è interamente rovinata. I quattro monocromi raffigurano le più famose Eroine bibliche: Giaele e Sisara (in cui la "maschia Giaele" uccide il generale oppressore Sisara conficcandogli in testa col martello un cavicchio della tenda); Esther e Assuero (in cui il re Assuero incorona Esther), Betsabea e Salomone o Il trionfo di Betsabea (in cui il re Salomone accoglie affettuosamente la madre Betsabea e la fa sedere in trono); Giuditta e Oloferne, di cui sopravvive soltanto il busto di Giuditta. Complessa e un po' controversa è la “lettura” dei quattro Papi dell'ordine domenicano, rappresentati in ordine cronologico nelle due fasce laterali, tutti (tranne uno) con la veste bianca dei domenicani, un fastoso manto papale, il triregno in testa (tranne uno) e il pastorale. Partendo da destra, il Papa rappresentato nell'atto di scrivere (con la penna d'oca e il libro), col pastorale a lato, è Innocenzo V, il primo domenicano a diventare papa (nato nel 1225, papa dal 21 gennaio al 22 giugno 1276), “doctorfamosissimus “ perché uno dei maggiori teologi del suo tempo.
L'altro papa fuoriesce dallo “schema domenicano”: non indossa il manto papale né il pastorale, il triregno è deposto ai suoi piedi, quasi ghermito dalla mano di un scheletro, di cui si vede il teschio ghignante, mentre il gesto del Papa esprime la vanità di quella carica terrena. La "vanitas" iconizzata dal teschio, il triregno deposto ai piedi, l'assenza del pastorale e del manto celeste indicano chiaramente che si tratta di Celestino V, l'eremita Pietro da Morrone, eletto nel luglio 1294, l'unico papa che “fece .. .il gran rifiuto” (Dante, Inf. III), che domenicano non era, ma che forse è stato confuso o assimilato ai Frati Predicatori a causa dell' "abito bianco" dei Celestini. Segue, a sinistra, Benedetto XI, nato nel 1240, cardinale e collaboratore di Bonifacio VIII (il successore di Celestino V), papa dal 22 ottobre 1303 al 7 luglio 1304. Il quarto è Pio V, che regnò dal 1566 al 1572, rappresentato con lo stendardo dei Crociati perché organizzò la Lega che, il 7 ottobre 1571, sconfisse i Turchi nella celebre battaglia di Lepanto.
L'effetto finale d'insieme è stupefacente: Borremans fonde «luminosità piena (...), tonalità diafane, raffreddate e cristalline, componendo una partitura ritmica in cui la tradizionale dimensione devota si stempera in un'arcadica grazia teatrale di gesti ed espressioni» (Troisi), in una dimensione giocosa, nel continuo scambio tra illusione e realtà. Come nell'angelo musicante: un bellissimo angelo planante, flessuoso, avvolto in una verde veste svolazzante sopra il gruppo dei santi, che suona energicamente la tromba (è l'Angelo del giudizio finale!) che (prodigio dell'illusionismo barocco!) sembra inseguire e guardare lo “spettatore” che si sposti in ognuno dei quattro punti cardinali.Anche il matroneo (articolato in due ordini) è interamente affrescato, ma le pitture sono di mani diverse e d'altro stile. Gli archi e la volta del 1° ordine (costituito da due colonne e due lesene laterali) sono decorarti con motivi fitomorfi (tralci d'uva, vasi, fogliame) e coppie di putti giocosi. Le pareti laterali contengono due scene evangeliche: a destra, Gesù caccia i mercanti dal tempio; a sinistra, Gesù fanciullo tra i dottoridel Tempio.
Sulla parete sono rappresentate S. Apollonia (con in mano la tenaglia con un dente estratto) S. Agnese (con l'agnello in braccio e la palma del martirio). Il 2° ordine (un loggiato articolato da quattro colonne, che costituisce il coro da cui le suore di clausura assistevano alle funzioni religiose) ricalca in piccolo la configurazione della chiesa sottostante. E' pure affrescata, ma un crollo ha rovinato gli affreschi della volta e attualmente non è visitabile.
Per fortuna, pochissimi anni fa, gli affreschi della volta e delle pareti sono stati restaurati ed è stato rifatto anche il pavimento in stile moderno.
Curiosità
- Borremans, originario della ricca Anversa, dopo un'iniziale esperienza artistica a Napoli - dove fuse la sua formazione fiamminga con l'esperienza della pittura napoletana -, si trasferì a Palermo verso il 1715 e divenne il pittore prediletto di monache e aristocratici. A lui si rivolsero le suore domenicane di S. Vincenzo Ferreri il 26 giugno 1716, quando decisero di decorare la "nuova, ed amplissima chiesa", ristrutturata insieme a tutto il monastero di clausura tra fine '600 ed inizi '700, come attesta il contemporaneo canonico Bartolomeo Provenzale, nella sua storia manoscritta del 1695.
Per la redazione del testo è stata adoperata la seguente bibliografia:
Gioacchino Di Marzo, Guglielmo Borremans di Anversa, pittore fiammingo in Sicilia nel secolo XVIII, Palermo 1912, pp. 19,61-63.
Giovanni Paterno Castello, Nicosia, Sperlinga, Cerami, Adernò, Bergamo 1907, pp.57, 65.
Anna Maria Ruta, Tre tesori da salvare. Liceo classico "Fili Testa", pp.71-75.
Citti Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 198 - 201;
Nino Contino, Nicosia. Guida storico-turistica, Papiro ed., Enna 1990
Franco Fiscella - Sergio Troisi, Borremans a Nicosia, in Kalòs, luglio-ottobre 1999;
Daniele Cascino, Classicismo e Rococò nelle tele di Filippo Randazzo, tesi di laurea, relatore prof.ssa MarinyGuttilla, a.a. 2004-2005, pp. 15-17, 255-57.