L'
abbazia benedettina del Santo Salvatore è una architettura religiosa sita nel comune di
San Salvatore Telesino, in
provincia di Benevento.
Il complesso abbaziale è costituito dalla chiesa, dall'ex monastero e da un oratorio.
Nella chiesa ha sede l'antiquarium di
Telesia, una raccolta di reperti archeologici provenienti dagli scavi della vicina città romana.
Le origini
Secondo Libero Petrucci, storico locale, l'abbazia sarebbe stata fondata a
Telesia tra gli anni 774 e 787 d.C. da
Arechi II, duca
longobardo di
Benevento. Con la distruzione della città ad opera dei
saraceni (846-847 d.C.) il complesso benedettino sarebbe stato edificato nel luogo attuale, su di un terreno che era già di proprietà dell'abbazia.
Secondo
Angelo Michele Iannacchino, vescovo di
Cerreto Sannita dal 1895 al 1918, l'abbazia nacque nel
IX secolo come "cella" dipendente dall'
abbazia di Montecassino. Il vescovo asserisce che questa "cella" era amministrata da un
preposito e a sostegno di questa tesi presenta un atto di donazione del duca
Aione II di Benevento (884-891 d.C.) che recita «Tibi Croscio Medico praeposito ad partem monasterii S. Benedicti»
Dante Marrocco, altro storico locale, sconfessa le tesi precedenti sia perché non vi è alcun cenno del complesso sino al 1075 e sia perché i telesini, prima dell'anno 1000, effettuarono numerose donazioni ed elargizioni a diversi monasteri benedettini della
Campania e del
Lazio. Il Marrocco conclude affermando che se in quegli anni già esisteva l'abbazia, di certo i telesini non avrebbero effettuato donazioni a monasteri lontani. Egli inoltre accetta con riserve l'atto di donazione citato da mons. Ianacchino perché non vi si nomina San Salvatore. Lo stesso studioso non esclude che prima dell'anno 1075 vi fosse una "cella" dipendente da Montecassino ma comunque priva di importanza.
Luigi Cielo, uno fra gli ultimi studiosi ad essersi interessato del complesso di San Salvatore, condivide la tesi di Dante Marrocco circa l'origine dell'abbazia fissandola all'
XI secolo. Cielo ipotizza che l'edificio sia stato edificato da un
nobile normanno fra gli anni 1065-1075, periodo in cui il dominio normanno nell'Italia meridionale andava assestandosi e vedeva la costruzione di importanti edifici religiosi da parte di questi nuovi dominatori. Lo studioso individua il finanziatore del cantiere nella persona del conte
Roberto di Alife, e attribuisce il progetto della chiesa al colto abate Giovanni. Inoltre, esclude qualsiasi dipendenza del complesso dall'abbazia di Montecassino perché nell'archivio di quest'ultima non vi è alcun documento che dimostri tale rapporto di dipendenza.
La prima notizia documentata dell'esistenza dell'abbazia risale all'anno 1075 quando Leopoldo, abate di San Salvatore, sottoscrive una decisione sinodale dell'
arcivescovo di Benevento Milone in favore dell'
abate di Santa Sofia Madelmo.
Tre anni dopo lo stesso abate Leopoldo assieme al metropolita, a undici vescovi e ad altri tre abati, partecipa al Concilio provinciale di Benevento.
Il periodo di massimo splendore
All'abate Leopoldo succede l'abate Giovanni, uomo colto, già allievo di
sant'Anselmo d'Aosta nell'
abbazia di Bec in
Francia, che regge l'abbazia su incarico di
papa Urbano II per alcuni anni, prima della sua promozione a vescovo di
Tuscolo. Alla fine dell'
XI secolo, su invito dell'abate Giovanni, l'abbazia ospita sant'Anselmo che secondo la tradizione vi scrive una parte della sua opera
Cur deus homo.
A Giovanni succede Gervasio, citato in un documento papale dell'anno 1113, e quindi l'abate
Alessandro Telesino, uomo colto e intraprendente. Ad
Alife conosce
Matilde di Altavilla, sorella di
Ruggero II di Sicilia e moglie di
Rainulfo II Querrel-Drengot, conte di Alife. Diventato confidente e confessore personale della contessa, scriverà poi, su invito di Matilde, le gesta di Ruggero il normanno, la sua opera più importante, la
Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apulie, biografia del re Ruggero II.
Il re tenne sempre in considerazione l'abate e visitò due volte l'abbazia corredando le sue visite con cospicue donazioni. Infatti il sovrano donò al monastero i feudi di San Salvatore, la collina della Rocca, il feudo di Carattano e Villa degli Schiavi riconoscendo agli abati il diritto di amministrare la giustizia.
All'abate Alessandro succede l'abate Stefano, annoverato come
priore nel 1135 e promosso abate probabilmente intorno al 1143-44 quando Alessandro si autosospende per scrivere la biografia di re Ruggero. Il nuovo abate allo stesso modo del predecessore riesce ad entrare nelle grazie del re tanto da accompagnarlo in diversi viaggi e da ottenere numerose altre donazioni. Stefano è conosciuto in particolar modo per essere citato come abate di San Salvatore nell'unico codice
miniato telesino giunto fino ai giorni nostri e che testimonia la presenza in questa abbazia di monaci particolarmente bravi nello scrivere a mano testi e codici arricchendoli di splendide miniature. Questo unico codice sopravvissuto, custodito nella
Biblioteca Civica Gambalunga di
Rimini, è datato al 1144-54 e contiene tre testi a soggetto religioso. Nel codice, oltre all'abate Stefano, indicato come committente, sono indicati anche il nome dell'emanuense (Giovanni) e la persona destinataria del dono, Ebulo di Magliano Vetere, un alto funzionario reale. L'abate Stefano, a sua volta, è il destinatario di un codice scritto nell'abbazia di San Lorenzo ad
Aversa scritto dal monaco
Walterius.
Nel
XII secolo l'abbazia amplia la sua giurisdizione ottenendo i feudi di
Dragoni, Baia e Montecalvo. Contemporaneamente si assiste ad una crisi di autorevolezza degli abati che va inserita in un più ampio contesto di disordini che interessano il
principato di Capua. Nel 1198 l'abate viene giudicato inadatto a governare e per la nomina del suo successore diviene necessaria la conferma papale.
Dopo il governo dell'abate Teobaldo, diventa abate Giovanni di Capua, consacrato ad
Anagni nel 1238 da
papa Gregorio IX. In questo periodo l'imperatore
Federico II di Svevia ordina di inventariare i beni dell'abbazia affidando l'incarico al giudice Pietro di Telese e obbliga gli uomini che abitavano il "casale di San Salvatore de Telesia" a lavorare al restauro del castello di
Caiazzo.
Nel 1295
Carlo II d'Angiò emana un diploma che concede agli abati di San Salvatore la presa di possesso di diverse terre come Raieta,
Castelvenere, Alvignanello, Campagnano e Corto Porto.
Nel gennaio del 1306 diventa abate Benedetto. A maggio il re
Carlo II di Napoli ordina al giustiziere di
Terra di Lavoro di far prestare giuramento di fedeltà al nuovo abate dagli abitanti di Casal San Salvatore, Schiavi, Carattano, Curti, Porto, Raieta, Campagnano, Alvignano e Veneri, tutti possedimenti dell'abbazia. A Benedetto succede Berengario Marziale, monaco di San Lorenzo di Aversa, e quindi Vito, abate dell'
abbazia di San Lupo a
Benevento. Quest'ultimo nei primi di ottobre del 1343, accompagnato da alcuni ufficiali, si reca nel feudo di Carattano per amministrare la giustizia. Al suo arrivo i contadini lo assalgono con urla e con lanci di pietre. L'abate ricorrerà poi alla regina la quale ordinerà alla
Gran Corte della Vicaria di punire i colpevoli.
Nella seconda metà del Trecento figurano come abati Mauro e Anello da Napoli. Nella seconda metà del Quattrocento diventa abate un certo Mattia.
La decadenza
Il coinvolgimento dell'abate Mattia nella
congiura dei baroni causò la fine dell'abbazia. L'abate infatti, avendo parteggiato per i signori ribelli, subì la vendetta del re
Ferdinando I di Napoli che distrusse il feudo di Carattano, mandò in esilio l'abate e si impossessò di tutti i feudi di proprietà del monastero affidandone l'amministrazione ad un certo Caprio Riccio di
Faicchio.
L'abbazia fu soppressa nel 1459-60 quando fu trasformata in
commenda affidata ad un amministratore che risiedeva a
Roma.
Nel 1596 il complesso benedettino venne trovato abbandonato dal vescovo Savino. La chiesa era semi cadente e gli altari erano carenti delle necessarie suppellettili per celebrare la messa.
A seguito del
terremoto del 5 giugno 1688 il vescovo
Giovanni Battista de Bellis annotava che il sisma aveva completato l'opera di distruzione che l'incuria dell'uomo aveva iniziato. Un sacerdote, don Giuseppe Corrado, scrisse che «come essendo succeduto per Divina dispositione il tremuoto, più terre sono cadute... che non se ne vedono li vestigi, et così la Chiesa et palazzo dell'Abbazia di S. Salvatore».
Nella seconda metà del XVIII secolo ebbe fine la commenda e le sue rendite furono trasferite allo Stato.
Nel 1806 l'abbazia fu venduta ad alcuni privati e fu adibita anche a
mulino.
Nel 1994 la chiesa è stata acquistata dal comune che l'ha restaurata e che ha ricostruito il tetto delle navate, crollato nel corso dei secoli.
La chiesa ospita dal 2010 l'Antiquarium di Telesia mentre l'ex monastero, in parte crollato, è di proprietà privata ed è sede di un ristorante.