Già nell’atto di donazione della Terra di Sant’Andrea, l’
elemento dell’acqua diventa elemento importante, prima per la Chiesa e, successivamente, per i suoi abitanti
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. Così è scritto nell’atto di donazione: “e affinché questa donazione ridondi per la redenzione delle anime nostre e dei nostri parenti, l’acqua, che scorre tra i confini con la sorgente ed il suo corso, doniamo e concediamo con vincolo l’inviolabilità alla Santa Chiesa Suddetta senza alcuna riserva, anzi aggiungendo la facoltà che la stessa chiesa conzana possa costruire mulini lungo il corso dell’acqua e allo stesso modo servirsene per altri usi".
Questo itinerario racconta parte di quello che nei secoli è stato costruito, mettendo l’accento anche su manufatti che bisognano di interventi, per non perdere parte della memoria storica del paese.
TAPPA 1 - La Fonte (Sorgente)
La Sorgente La Fonte è situata in un bosco chiamato La Selva. Con la costruzione della rete idrica, avvenuta nel 1957, l’acqua della “fonte” è stata deviata ed ha perduto l’importanza di un tempo, quando dava vita alla “canala”. Questa aveva il compito di far funzionare i mulini d’acqua.
TAPPA 2: Mulino “alla Fonte”
La costruzione del mulino “La Fonte”, agli inizi del 1800, avvenne per iniziativa di Alessandro Andreone, coadiuvato da Carlo De Laurentiis, dal sacerdote don Carlo Grossi e dal fratello di quest'ultimo, Eligio. Collocato nella parte più alta del paese, immediatamente a valle della sorgente La Fonte, da cui prende il nome, è rimasto attivo fino agli anni ‘50 del secolo scorso. Realizzato in pietra calcarea e costruito con buona manifattura, il mulino è riuscito a resistere al tempo ed ai notevoli terremoti che hanno interessato l’area irpina, come quello del 23 novembre 1980. Sant'Andrea di Conza è stata terra di mulini. All'interno del centro abitato se ne potevano contare ben sei, per la notevole disponibilità di acqua laminata dalle diverse sorgenti che caratterizzano l’area comunale. Il loro funzionamento era, infatti, legato alla presenza della sorgente, mentre la disposizione a cascata favoriva il deflusso dell'acqua verso valle, consentendo il movimento delle macine. Della struttura originale, oggi sono visibili sia la torre in pietra con cantonali squadrati, alta circa 7 metri, sia la “canala”, poggiante su archi a sesto ribassato, che aveva la funzione di alimentare i cinematismi collegati alle macine. Degna di nota è la macina in Breccia Irpina. Il mulino “La Fonte”, archetipo dell'economia rurale, delle tradizioni popolari, antropologiche ed architettoniche di Sant'Andrea di Conza, è stato riconosciuto come Bene Culturale e come tale sottoposto a tutela. Esso conserva in sé la memoria ed il duro lavoro degli antenati che lo concepirono. Ragguardevole è la notevole opera di restauro, che gli ha restituito la sua naturale bellezza, offuscata dal tempo.
TAPPA 3: Lavatoio Comunale
Esiste un luogo, un piccolo manufatto che forse a molti potrebbe apparire come cosa inutile, da nascondere, da eliminare, ma che in realtà rappresenta una testimonianza concreta della vita sociale delle passate generazioni: il lavatoio comunale.
Non un luogo astratto, ma vero, che ha visto la fatica e il sacrificio delle lavandaie, ma anche uno spazio condiviso di aggregazione in cui si socializzava commentando e discutendo storie di paesani, storie di vita e pettegolezzi, la voce dei bimbi che le mamme dovevano portarsi dietro. Qui si cantava, si tramandavano racconti, si rideva e a volte si litigava.
Il lavatoio, costituito da un’unica grande vasca con un divisorio per decantare le acque dal detergente, ha visto sfilare anche i tanti corredi delle spose dopo essere prima trattati con la liscivia derivata dalla miscelazione di cenere e acqua bollente.
Se, oggi, ci soffermiamo un attimo in silenzio, sembra di udire le voci delle donne, vedere le loro sagome con il grembiule allacciato, curve, con i capelli legati intente nel fare il “bucato”.
TAPPA 4: Fontana Monumentale dell’Episcopio
La Fontana Monumentale si trova presso il giardino dell’Episcopio. Tutta in pietra calcarea locale, è composta da tre cascate gradonate che facevano confluire l’acqua in una vasca quadrata inferiore con al centro un gran piatto anche esso in pietra, ed è circondata da una balaustra. L’acqua abbondante che attraversava le tre cascate proveniva dal mulino La Fonte e proseguiva fino ad alimentare altri cinque mulini, a poca distanza l'uno dall’altro, situati nel centro abitato.
TAPPA 5: Fontana del Sambuco
La Fontana del Sambuco rappresenta un angolo tradizionale del paese ma non svolge più la funzione che storicamente ha avuto. Oltre a soddisfare la sete dei santandreani con la sua acqua purissima, serviva anche da lavatoio pubblico, come si può ancora oggi dedurre dalla presenza delle apposite pietre, seppure un po’ scomode. Da essa proveniva l’acqua del fontanino, esistito fino a non molti anni fa affianco al piazzale del “Monumento”. Grazie alla scoperta dello storico Arcangelo Bellino, si riesce a far risalire la costruzione della fontana tra il 1893 e il 1895, periodo in cui era sindaco Raffaele Bozzone. Costui fu costretto ad accollarsi tutte le spese per la realizzazione di tale opera poiché la giunta comunale si era rifiutata di includere nel bilancio il costo molto alto dell’impresa. Come risultato, il sindaco fuggì da Sant’Andrea per emigrare negli Stani Uniti.
TAPPA 6: Fontana di Piazza Umberto I
Il paese è ricco anche di fontane (ve n'è una in ogni rione), delle quali la più caratteristica è quella a quattro bocche che domina piazza Umberto I, a cui il poeta e scrittore Luigi Limongelli ha dedicato la bellissima poesia "Mamma Fontana".
La sorgente che alimenta la "Fontana" si trova nel pieno centro storico, sotto le abitazioni disposte lungo la Via Scolatoio, nel tratto che va verso Via Arcopinto. Tanto almeno si poté dedurre nel corso dei lavori di riparazione dei danni provocati dal terremoto del 1980 a tali abitazioni. Molto probabilmente questa sorgente è una derivazione di quella principale, "La Fonte". È una sorgente che si può considerare "perenne" visto che la "Fontana" riesce ad erogare acqua quasi per tutto l'anno, salvo annate particolarmente secche.
Scorrendo sotto le stesse case e, in parte, in un canale che corre lateralmente ad esse, l'acqua arriva poi in Piazza Umberto I e, raccolta in una vasca disposta alle spalle della stessa "Fontana", arriva poi ai quattro "canali".
I bambini dell'epoca avevano dato un nome o, meglio, una dedica a ciascuno dei canali: il primo a sinistra era quello di Gesù, il secondo della Madonna, il terzo del diavolo (forse perché più scarso come portata e circondato da muschio) e l'ultimo di San Giuseppe.
TAPPA 7: La Pila alla Porta della Terra / Mulino di Mezzo
Della Fontana in Piazza Umberto I è utile ricordare l’intelligente sistema di scolo delle acque: quelle più pulite, che scorrevano sul piano di appoggio dei recipienti da riempire, andavano ad alimentare la “pila”, posta poco più a valle, dove si abbeveravano i cavalli; quelle più sporche finivano in un canale che si riuniva con le acque residue della stessa pila e quindi con quelle della Forma e del Sambuco per alimentare il molino di mezzo.
Dall’altra lapide esistente proprio sulla pila si può desumere che la sistemazione dell’abbeveratoio ed il completamento dei canali di scarico furono fatti eseguire nel 1833 dal sindaco Francesco Bellino.
Il Mulino “di mezzo” era il secondo della Mensa Arcivescovile, ubicato poco fuori della Porta della Terra. Sembra utile ricordare che l'acqua proveniente dal mulino "Le Grotte", dopo aver attraversato l'attuale Via C. Battisti, correva parallelamente alla stessa via per unirsi, dopo aver attraversato alcune abitazioni, con l'acqua della Fontana e, molto probabilmente, vicino alla "Pila", con l'acqua del torrente di San Pietro. Fu inglobato nell'abitazione D'Angola e poi trasformato in frantoio.
L’acqua che si versava nella “Pila” serviva per l’approvvigionamento dell’acqua, per lavare il bucato e per dissetare gli animali. Non aveva solo una funzione logistica, bensì un importante ruolo sociale. Qui si fermavano i viandanti, si recavano le donne, si intrattenevano i contadini con il loro bestiame. L’abbeveratoio era un punto d’incontro, un luogo di socializzazione, di scambio di esperienze, di confronto. Erano costruite in pietra e si integravano molto bene con l’ambiente circostante.
Erano luoghi di aggregazione che davano il senso di comunità e appartenenza. Qui nascevano amori, si consumavano pettegolezzi (gossip), ci si scambiava informazioni. Gli abbeveratoi erano spesso luoghi dove si ponevano le basi per affari e scambi di merce.
TAPPA 8: Mulino d’Angola / Fontanina del Purgatorio
Fin dagli inizi del XIX sec. I congiunti Giovanni e Nicola D’Angola, padre e figlio, dovevano costruito un nuovo mulino macinante ad acqua, sito nel luogo detto poco sopra il Mulino de Piedi. E non pochi problemi dovettero incontrare giacché furono costretti a stipulare vari accordi per l’attraversamento della “canala” di alimentazione di terreni altrui.
Non lontano uno dei tanti fontanini d’acqua che si trovano nel paese, che serviva essenzialmente per dissetare la popolazione.
TAPPA 9: Mulino de Piedi o di basso
Così denominato perché ultimo dei tre mulini della "Mensa Arcivescovile" ed a valle del paese (e di un altro mulino situato a brevissima distanza ma a quota superiore), ha "lavorato" fino agli anni '50, ha resistito anche agli eventi sismici del novembre '80, ma non può resistere ancora molto all'incuria e all'abbandono. A tutti gli effetti è da considerare un simbolo per il paese, simbolo di operosità e di ingegno della sua popolazione, almeno fino agli anni '50, appunto. La diffusione dei mulini era una caratteristica di Sant'Andrea. Se ne potevano contare almeno 6 nel centro abitato e nelle sue immediate vicinanze. Nell'intero territorio (di appena 644 ettari) arrivavano almeno a 10. Il paese dispone di una sorgente di una certa importanza che nei tempi passati consentiva, non senza problemi e continui litigi, l'alimentazione dei mulini. Questi erano disposti "in cascata" cosicché dopo aver azionato le macine dei mulini più a monte, l'acqua continuava ad alimentare quelli più a valle (sempreché qualcun altro non ne avesse deviato il corso per irrigare il proprio orto).
TAPPA 10 Water trekking (percorso A; Arsa + B; delle pietre ): Mulino “atto di donazione” o della Mensa Arcivescovile
Poco al di sopra del ponte della Via dei Vaticali, a circa 150m zona del PiP artigianale di Sant’Andrea, potrebbe essere il Mulino citato nell'atto di donazione del Conte Gionata.
La forma è abbastanza insolita (grosso cilindro di circa tre metri di diametro) e piuttosto basso (circa 3 m). È ancora individuabile la “canala” e pertanto la sommità è definita. Non appare chiaro invece dove potesse essere la base. Nelle vicinanze è molto evidente un muro a secco con pietre squadrate di dimensioni varie, alcune molto grandi, che sembra seguire un andamento curvilineo (vasca di raccolta)
Il percorso di trekking fluviale o water trekking (percorso A) inizia al di sopra del Ponte Arso. Si può salire verso l’Abetina oppure percorrere verso la valle, dove troviamo varie cascate e piccoli specchi d’acqua (Tonz’) dove nel passato si usavano per fare i bagni. Sempre nel percorso troviamo i ruderi di diversi mulini fino ad arrivare al Mulino della Mensa Arcivescovile (secondo punto A). Il torrente continua la sua corsa fino ad arrivare al fiume Ofanto.
TAPPA 11 - Inizio del percorso Water trekking (percorso A): Vallone dell’Arso o dell’Arsa Fontanella di Santu Simene /Mulino Gualchiera
Il Vallone dell’Arsa, meglio noto come vallone dell’Arso, si trova sul lato ovest di Sant’Andrea e rappresenta un po’ la porta di ingresso del paese. Il fiume nasce ai piedi dell’Appennino campano/lucano e arriva a valle sfociando sul fiume Ofanto. Il percorso veniva usato negli anni 40/50 per far bere gli animali e per il tradizionale rito del bagno delle pecore prima di tosarle. E’ attraversato da un ponte, oggi in cemento ma in origine di legno, che fu abbattuto dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale per impedire il passaggio degli americani. Camminando verso il Vallone troviamo un Mulino che però non funzionava ad acqua.
Il Mulino Gualchiera, anch'esso ormai allo stato di rudere, appare simile al vicino mulino dell’Arsa all'Anguillara ma la torre sembra più bassa. Verso la base della torre era presente un buco nella parete come una finestrella (eccentrica) ma non sembra relativa al canale di adduzione. Più in basso sembrava delinearsi un incavo tondeggiante.
La Fontanella Santu Simene, sempre in prossimità dell’Arso, è stata più volte sistemata, anche con dei lavori fatti dalla Comunià Montana Alta Irpinia, con un’area picnic.
Durante la discesa del torrente Arso, prima di arrivare al Mulino della Mensa Arcivescovile (tappa 10), troviamo dei ruderi di un altro mulino definito di Cesina Nuova; da lì, una volta visitata il Mulino, si può continuare la discesa o risalire attraverso in Vallone di San Pietro (Tappa 12 - percorso B).
TAPPA 12 Water trekking (percorso B): Vallone di San Pietro
Altro percorso di trekking fluviale parte dal “Vallone di San Pietro”, chiamato “il Vallone delle pietre”. Parte in prossimità del Seminario Metropolitano e continua fino a raggiungere l’Arso.
Anche se non si riesce a capire bene quale fosse questo vallone, in alcuni atti precedenti risulta che in alcune compravendite ci sono frasi del genere: “[…] terreno […] confinato da una parte il vallone che scende dall’acqua di S.Pietro […] (1764) oppure “[…] affitto mulini alimentati da…". Ciò può far pensare che vi erano terreni vicino al vallone (e non lontani dalla Fonte) che appartenevano alla Cappella di S. Pietro esistente nella Chiesa Madre. In tal caso l’acqua di tale vallone veniva deviata in corrispondenza dell’intersezione di Via de Sanctis con via Mazzini, e quindi arrivava alla Pila, Via sottopiazza (tappa 7). Da lì si ricongiungeva con l’acqua della Fonte e del Sambuco e andava ad alimentare il mulino “di mezzo” della Mensa e poi quello “di piede”.
Grazie al lavoro dell’Associazione Lu Faucion, sia il vallone di San Pietro che quello dell’Arso sono stati puliti, ma bisogna ancora inserire una segnaletica adeguata, perciò consigliamo di procedere con cautela.
Curiosità
- I manufatti sono fatti con pietra locale comunemente chiamata Brecciato Irpino (Favaccio, Favaccina).
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